Al momento (fine 2024) sono 25, 16 femmine e 9 maschi.
Tutti loro hanno una storia particolare, ma di alcuni la conosciamo meglio perché l’abbiamo vista o conosciuta da vicino, soprattutto quelli che vengono dall’Ospedale di Kingasani, mentre quella di altri si perde nel tempo dei loro primi anni, chissà dove e con chi, spesso fra abbandoni, perdite delle persone care o semplicemente allontanamenti, sempre povertà, a volte cattiveria e altre volte migrazioni. Sono entrati da piccoli, rimasti giusto il tempo di crescere, diventare braccia da lavoro o potenziale dote e poi ecco che qualcuno, un parente del clan, uno dei genitori o qualche zio o zia, è venuto a reclamarli come cambiali con gli interessi, da riscuotere. E non abbiamo potuto fare nulla. È andata così per Bienfait e i suoi tanti fratelli e sorelle.
A volte i servizi sociali li affidano con documenti ufficiali, a volte lasciano semplicemente che le persone se la sbroglino.
Quando sono molto piccoli, magari in fasce, e crescono con noi, i loro nomi derivano dai nostri nomi o cognomi: è una forma di ringraziamento, di vicinanza.
Di Tria ad esempio viene dall’ospedale di Kingasani e aveva, piccolissimo, le gambe storte perché a furia di essere portato sulla schiena dentro la stoffa (pagne), non aveva sviluppato le ossa dritte della camminata. L’abbiamo dovuto ingessare, strillava, è rimasto molto tempo col gesso ma ora cammina bene ed è un bimbo vivace e allegro.
La storia di Gigal è quella che conosciamo meglio perché l’abbiamo seguita da vicino sempre, fin dai primi giorni: era un piccolissimo bambino di neppure un anno, con un gemello, Gideon, e una madre che non ce la faceva, né per risorse economiche né per equilibrio mentale. All’ospedale ce li hanno affidati, erano entrambi gravemente denutriti. Li abbiamo curati ma Gideon non ce l’ha fatta, mentre Gigal sì, a furia di pappe apposta, nutella e abbracci. Poi però nel 2018 è stato in pericolo di vita per un problema ai reni. L’abbiamo fatto operare e, miracolosamente, ce l’ha fatta. Ora è il nostro miracolo.
Giampietro, invece, è stato raccolto dalla strada appena nato, sua madre non era più in vita e hanno dovuto recidere il cordone ombelicale. È rimasto senza ossigeno al cervello il tempo sufficiente per toglierli un po’ di intelligenza e di capacità di imparare: all’inizio era proprio incapace di qualsiasi cosa, poi Maman Mirphie l’ha portato piano piano come fosse suo figlio a fare le piccole cose, l’ha curato, seguito, ha detto “Se non capisce nulla capirà l’amore”, e così è stato. L’abbiamo portato a fare visite neurologiche e terapie, ma nulla lo porterà mai ad essere un bambino e poi un ragazzo che si integra e interagisce “normalmente”. È molto vivace, a tratti violento: gli altri nella casa famiglia lo trattano bene, lo gestiscono con affetto. Ultimamente lo troviamo migliorato, più calmo e capace di esprimersi.
Ci sono DjoDjo e Vanquer, bambini di rara intelligenza e sensibilità, che in tutto quello che fanno dimostrano una capacità spiccata che andrebbe coltivata, promossa, nutrita.
La storia delle bambine è molto spesso una storia travagliata di rifiuti e angherie, quando non di violenze.
Divine e Gracia vengono dall’ospedale di Kingasani delle suore, nel 2020 ci sono state affidate dopo che la loro nonna le ha ripetutamente rifiutate e sono state nel reparto dei vecchi per un po’, senza altro posto dove andare.
Gladis viene sempre dall’ospedale, è stata accusata di stregoneria e rifiutata dalla famiglia.
Le ultime arrivate in casa sono quattro piccole bimbe: Cristenvie, Modestine, Cristelle e Nono, di cui poco sappiamo a parte il loro sguardo sperduto e la magrezza, soprattutto di Cristelle.
E poi la neonata Rosella. La piccola Camille, vivace e affettuosa.