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2007

Tolamuka in lingala, la lingua della Repubblica Democratica del Congo, detta anche Congo Kinshasa, ex Congo Belga, vuol dire Sveglia.

Sveglia, gente.

Dopo anni di viaggi in Africa, nel 2007 noi abbiamo detto basta, è ora di svegliarsi. E ci siamo fermati a Kinshasa per non lasciare soli un gruppo di bambini che vivevano, soli e per strada, vicino all’aeroporto, preda della fame, degli adulti di passaggio, delle malattie.

Non abbiamo smesso di aiutarli in questi 17 anni. Ogni anno (salvo l’anno del covid) siamo sempre andati a trovarli portando aiuti (46 chili a testa), e ogni mese, da allora, inviamo 1.100 dollari per una casa (che spesso cambia), per il cibo, e quando si ammalano facciamo in modo vengano curati all’Ospedale delle Poverelle di Bergamo che sta in un quartiere della città, lontano da dove di solito siamo noi, ma è uno dei pochi luoghi sicuri.

Noi siamo una casa-famiglia che conta di solito intorno ai venti-venticinque bambini. Ci sono spesso neonati, mentre chi diventa grande esce e cerca una sua strada. Ne arrivano dall’ospedale delle suore, dal reparto denutriti, o dalla strada. Tolamuka è una casa, con tetto e stanze, e una famiglia con qualcuno, di adulto e quasi, che si occupa dei più piccoli lavando i vestiti, segnalando malattie, preparando i pasti, andando a fare spesa, insegnando quel che può. Tolamuka siamo noi, gli zii italiani che non li lasciano, che ci sono. Su whatsapp, in foto, in videomessaggio, con gli aiuti, le risposte alle chiamate, i viaggi.

ONLUS TOLAMUKA
codice fiscale: 94023530127
IBAN (BIPER BANCA)
IT 44 S 05387 50520 000042 497057
(inserire nella causale versamento “Donazione”)

In questi anni sono successe molte cose. Ora i bimbi sono 25 e hanno da qualche mese a 24 anni. Sono 16 femmine e 9 maschi.La casa famiglia è gestita da una coppia di congolesi, Desiré et Niclette. Niclette è la nuova moglie di Desiré, perché la fondatrce della casa famiglia, la storica e amatissima Mirphie, è morta l’anno scorso per un’operazione finita male, aveva solo 39 anni.Il gruppo di lavoro nella casa è formato da persone fidate e bravissime: oltre a Desiré e Niclette csi sono Chaty, Dido, Nono, Maman Rose e Joyce.Ognuno di loro ha un ruolo e un piccolo stipendio.

Seguite la nostra storia. Venite con noi attraverso l’umanità di un luogo di una ricchezza e di una durezza senza eguali. Navigate nel sito. Aiutate. Donate. Contattateci. Dateci libri in francese, giochi, scarpe e quel che potete.

I bambini

Al momento (fine 2024) sono 25, 16 femmine e 9 maschi.

Tutti loro hanno una storia particolare, ma di alcuni la conosciamo meglio perché l’abbiamo vista o conosciuta da vicino, soprattutto quelli che vengono dall’Ospedale di Kingasani, mentre quella di altri si perde nel tempo dei loro primi anni, chissà dove e con chi, spesso fra abbandoni, perdite delle persone care o semplicemente allontanamenti, sempre povertà, a volte cattiveria e altre volte migrazioni. Sono entrati da piccoli, rimasti giusto il tempo di crescere, diventare braccia da lavoro o potenziale dote e poi ecco che qualcuno, un parente del clan, uno dei genitori o qualche zio o zia, è venuto a reclamarli come cambiali con gli interessi, da riscuotere. E non abbiamo potuto fare nulla. È andata così per Bienfait e i suoi tanti fratelli e sorelle.

A volte i servizi sociali li affidano con documenti ufficiali, a volte lasciano semplicemente che le persone se la sbroglino.

Quando sono molto piccoli, magari in fasce, e crescono con noi, i loro nomi derivano dai nostri nomi o cognomi: è una forma di ringraziamento, di vicinanza.

Di Tria ad esempio viene dall’ospedale di Kingasani e aveva, piccolissimo, le gambe storte perché a furia di essere portato sulla schiena dentro la stoffa (pagne), non aveva sviluppato le ossa dritte della camminata. L’abbiamo dovuto ingessare, strillava, è rimasto molto tempo col gesso ma ora cammina bene ed è un bimbo vivace e allegro.

La storia di Gigal è quella che conosciamo meglio perché l’abbiamo seguita da vicino sempre, fin dai primi giorni: era un piccolissimo bambino di neppure un anno, con un gemello, Gideon, e una madre che non ce la faceva, né per risorse economiche né per equilibrio mentale. All’ospedale ce li hanno affidati, erano entrambi gravemente denutriti. Li abbiamo curati ma Gideon non ce l’ha fatta, mentre Gigal sì, a furia di pappe apposta, nutella e abbracci. Poi però nel 2018 è stato in pericolo di vita per un problema ai reni. L’abbiamo fatto operare e, miracolosamente, ce l’ha fatta. Ora è il nostro miracolo.

Giampietro, invece, è stato raccolto dalla strada appena nato, sua madre non era più in vita e hanno dovuto recidere il cordone ombelicale. È rimasto senza ossigeno al cervello il tempo sufficiente per toglierli un po’ di intelligenza e di capacità di imparare: all’inizio era proprio incapace di qualsiasi cosa, poi Maman Mirphie l’ha portato piano piano come fosse suo figlio a fare le piccole cose, l’ha curato, seguito, ha detto “Se non capisce nulla capirà l’amore”, e così è stato. L’abbiamo portato a fare visite neurologiche e terapie, ma nulla lo porterà mai ad essere un bambino e poi un ragazzo che si integra e interagisce “normalmente”. È molto vivace, a tratti violento: gli altri nella casa famiglia lo trattano bene, lo gestiscono con affetto. Ultimamente lo troviamo migliorato, più calmo e capace di esprimersi.

Ci sono DjoDjo e Vanquer, bambini di rara intelligenza e sensibilità, che in tutto quello che fanno dimostrano una capacità spiccata che andrebbe coltivata, promossa, nutrita.

La storia delle bambine è molto spesso una storia travagliata di rifiuti e angherie, quando non di violenze.

Divine e Gracia vengono dall’ospedale di Kingasani delle suore, nel 2020 ci sono state affidate dopo che la loro nonna le ha ripetutamente rifiutate e sono state nel reparto dei vecchi per un po’, senza altro posto dove andare.

Gladis viene sempre dall’ospedale, è stata accusata di stregoneria e rifiutata dalla famiglia.

Le ultime arrivate in casa sono quattro piccole bimbe: Cristenvie, Modestine, Cristelle e Nono, di cui poco sappiamo a parte il loro sguardo sperduto e la magrezza, soprattutto di Cristelle.

E poi la neonata Rosella. La piccola Camille, vivace e affettuosa.

Chi è stato in casa in questi anni e poi è uscito:

Gli adulti

Dal 2007 al 2021 la casa famiglia è stata gestita da Desiré, un uomo della polizia congolese molto rispettato, che garantisce la sicurezza della famiglia in un Paese difficile per molti aspetti, e Mirphie, sua moglie, mamma di tutti i bambini e donna che ha sempre saputo tenere in equilibrio le tante complessità pratiche (dalla pulizia alle spese alla manutenzione della casa) e quelle psicologiche e culturali (i caratteri di ogni bambino e, a volte, lo scontro culturale fra noi e Desiré, uomo congolese).

Nel 2021 per un’operazione ginecologica andata male Mirphie purtroppo è deceduta, all’età di 39 anni, e abbiamo dovuto riformulare la gestione della casa. I responsabili sono:

Desiré, che è il responsabile della casa e il garante della sicurezza, il boss. È il fondatore dell’ASBL, il corrispettivo di una nostra onlus, che si chiama CEED, “Centre des Enfants Défavorisés”, senza la quale non potremmo operare in loco. Tolamuka-Ceed è, legalmente parlando, il ponte di questa impresa e Desiré è la persona senza la quale tutto questo sarebbe molto difficile, se non impossibile.

Niclette, la sua nuova moglie, che si sta dimostrando capave, gentile e disponibile. È laureata in medicina quindi ha un’ottima istruzione e basi pedagogiche. Fa gli acquisti e, come Desiré, vive in casa, accudisce i bambini con amore e con buoni consigli. Siamo grati a Desiré di aver trovato una persona che si è appassionata al progetto della casa famiglia e ha dato un nuovo grande impulso anche all’entusiasmo di Desiré, messo a dura prova dal lutto subito.

Chaty, da quando è mancata Mirphie è sempre stata un punto di riferimento. È la fidanzata di Dido, il ragazzo più grande della famiglia e infermiere, manda messaggi ogni giorno per aggiornarci, è istruita (anche lei è infermiera), va alla casa tre-quattro giorni alla settimana per controllare le stanze e l’alimentazione, e conduce con tutti i bambini dei laboratori creativi in base a input e idee che le diamo ma anche con una certa libertà. Quando viene a far fare i laboratori ai bimbi porta sua figlia Gertrude, che trova molti compagni di gioco.

Dido, ha quasi 25 anni (di molti non si conosce l’età precisa) e lo conosciamo da quando era piccolino; è l’ultimo del gruppo originario del 2007 che ancora vive in casa, ed è stata una scelta sia nostra che sua. Da 3 anni lavora all’ospedale di Kingasani come infermiere dopo aver fatto una scuola che gli abbiamo finanziato. Gli stiamo finanziando uno stage retribuito. È molto amato dai vecchi del reparto dedicato a loro. In casa è il più grande, controlla lo stato di salute di tutti, dorme nella stanza dei ragazzi dove è responsabile della pulizia.

Nono ha più di 40 anni, lo conosciamo dal 2007 come bravo ragazzo senza famiglia, gli abbiamo finanziato l’università, giurisprudenza, ma il mercato del lavoro congolese, poco trasparente, non gli ha permesso di inserirsi con uno stipendio, nonostante molti tentativi suoi e nostri. Per la sua istruzione e dei precedenti scolastici (ha provato ad aprire una scuola), lo abbiamo recentemente incaricato di rafforzare l’apprendimento scolastico dei bambini con un doposcuola 3-4 giorni la settimana. Per questo riceve uno stipendio da noi, di 80 dollari mensili, che lo aiuta a mantenere la sua famiglia (ha 3 bambini e una moglie).

Maman Rose è la signora che da qualche anno vive e dorme in casa con i bambini, si occupa della cucina e dei lavori domestici, si sveglia quando è ancora buio e va a dormire quando è certa che tutto sia a posto. Va a casa solo di domenica. Per lei inviamo 100 dollari al mese.

Joyce è una ragazza cresciuta nella casa famiglia per la quale Maman Mirphie, come ultimo gesto, ha provato a trovare lavoro come sarta presso amici. Non essendo andato a buon fine questo tentativo, e avendo Joyce avuto un bambino, Luther, abbiamo pensato di farla stare in casa come aiuto a Maman Rose, con il suo bambino, e di darle uno stipendio di 60 dollari, oltre a un tetto e al sostentamento quotidiano per lei e suo figlio, nonché le cure mediche come per tutti.

I ragazzi Grandi

Da Tolamuka come famiglia allargata di bimbi e grandi in 17 anni sono passati fra i 100 e i 150 bimbi. Molti, quando torniamo, vengono a trovarci. Alcuni sono in contatto quotidiano con altri in casa, e fra loro hanno quasi sempre conservato rapporti di amicizia e solidarietà, si cercano, sanno dove sono anche se in parti lontane della città o addirittura del paese. Le ragazze spesso hanno vite dure, con figli e lavori precari. Nadège recentemente è morta per una malattia non curata e di cui non sapevamo nulla. Nsimba con suo cugino Mugalu è da un falegname che conosciamo, Antoine, che dà loro un minimo di stipendio e consigli. Obed, dopo essere tornato a casa per due anni, è di nuovo sparito dal radar. Jules non sappiamo se si sia ripreso bene dal suo incidente . Rabi è in condizioni sempre un po’ precarie ma torna a trovarci ogni volta. Meta e Nsona sono ancora al campo dove tutto è partito, nel loro clan, e sono felici ogni volta di rivederci. Lucien Isoso fa la lotta e cura il suo corpo e il suo aspetto come un vero culturista. Una ragazza di rara intelligenza, Plamedie Senza, e un’altra su cui coltivavamo grandi speranze, Plamedie Tito, hanno deciso di abbandonare la scuola alberghiera che per un anno e mezzo abbiamo fatto frequentare loro ma stanno bene, sebbene non sappiamo bene con quali mezzi. Alla fine possiamo aiutarli, dobbiamo aiutarli, ma ognuno deve trovare la sua strada. Falonne, ad esempio, ragazza molto intelligenze che aveva una menomazione al naso, un tumore benigno, ci dicono che fa la sarta e ha trovato il modo di mantenersi dignitosamente. Per Joyce, che abbiamo provato a far studiare come sarta (è l’ultima cosa che ha fatto Mirphie), madre giovane del piccolo Luther, la cosa migliore che ci siamo inventati è darle un piccolo stipendio e richiamarla a casa per aiutare.

Nono invece, che conosciamo dal 2007, orfano pieno di idee ma senza nessun mezzo, ha avuto un percorso molto combattuto: sguattero, lo abbiamo portato fino alla laurea in giurisprudenza, che però si è rivelata senza sbocchi professionali non avendo né noi né lui conoscenze in una città che di quelle vive; si è sposato, e lo abbiamo un po’ accompagnato anche in quello, poi ha fondato una scuola che però non è durata molto finché, padre ormai di tre figli come molti in Congo e senza sapere bene come mantenerli e come soddisfare la famiglia della moglie, ogni tanto caracolla di salute e non riesce a trovare una sua strada. Lo stiamo aiutando, sebbene meno di quello che necessiterebbe, e viene due tre giorni alla settimana a casa, aiuta i bimbi con l’istruzione, e il suo stipendio è, come per Joyce e Chaty, 100 dollari al mese.

Poi c’è Dido, il nostro pupillo, che sta ancora in casa e che stiamo aiutando da anni a lavorare all’ospedale di Kingasani come infermiere. Si impegna molto, ma non sappiamo sul suo futuro che contratto riusciremo a trovare; per l’intanto ha imparato un mestiere e gli abbiamo sempre pagato un mensile. La sua sensibilità rispetto al repart des veillards all’ospedale è stata esemplare, tutti gli anziani lo amano. Si è svegliato ogni giorno alle 5 di mattina per attraversare la città e recentemente ha lavorato per qualche mese al reparto delle urgenze. La sua devozione a noi è rara e il suo futuro speriamo sia più roseo della media.

Maman Mirphie

Il nostro ricordo va a lei, Maman Mirphie, che è stata la protagonista fino al 2021 della vita della casa famiglia Tolamuka, con la sua gentilezza e la sua assoluta dedizione ai bimbi. L’abbiamo conosciuta a Camp Badara, moglie e sostegno di Desiré. Le abbiamo chiesto di occuparsi dei bambini, insieme a suo marito, e di trasferirsi in una casa con loro, casa che avremmo trovato. Lei ha accettato, ma per i primi tempi è stata dura perché più di 20 bambini cui badare era per lei davvero troppo. Di volta in volta ci sono state donne di fatica che l’hanno aiutata ma lei è sempre stata il riferimento non solo pratico ma, soprattutto, affettivo. Ha allevato tutti i piccoli che venivano dall’ospedale, neonati e denutriti, o dalla strada. È grazie a lei che Gigal si è salvato, che Rebecca è cresciuta nei primi anni, che Giampietro ha recuperato una parvenza di normalità, che i piccoli hanno appreso i rudimenti della vita. Desiré è sempre stato il riferimento sociale e la protezione, anche grazie al suo lavoro e al suo ruolo sociale, ma Mirphie era la madre, e noi abbiamo fatto sempre affidamento su di lei. Si è sacrificata anche materialmente: era infermiera e la sua famiglia non era poverissima. Prima che morisse per un’operazione andata male alle ovaie, di cui soffriva e che già avevano comportato negli anni precedenti altre operazione che l’avevamo aiutata ad affrontare organizzativamente ed economicamente, grazie al Dottor Kuela dello ospedale di Saint Joseph, avevamo provato per due anni ad organizzare un viaggio in Italia per lei: suo marito è venuto ma lei no, non le hanno fatto il visto, e questo ha sempre rappresentato un punto di dolore. Purtroppo non ce l’abbiamo fatta. Il 23 novembre 2021 Mirphie è morta all’età di 39 anni, dopo un mese e mezzo di sofferenze.